Perché un popolo coopera alla propria oppressione?

di Mauro Ventola (filosofo, autore e formatore)

Stiamo vivendo in un Tempo di immensa turbolenza, di crisi radicale. Le antiche istituzioni, così come i sistemi di credenze, che hanno contribuito a condurci nel momento presente, si rivelano in tutta la loro insufficienza. E mentre l’attenzione delle persone è rivolta ai temi all’ “ordine del giorno”, è fondamentale recuperare una visione che includa punti di vista e prospettive più ampie, più profonde, e anche più critiche, rivolte al recupero della “complessità” e della “totalità”.

In ogni civiltà della storia umana, sia a livello scientifico che umanistico, le evoluzioni più promettenti sono state promosse dalle cosiddette “minoranze creative”, individui e gruppi indipendenti che, al di là di ogni conformismo, sono riusciti a raccogliere quelle “idee”, “prospettive” e “sentimenti” fino ad allora ignorate da governi e organizzazioni in declino e obsoleti.

Non è possibile rilanciare il futuro, elaborare un “futuro a cui si voglia appartenere”, escludendo o discriminando le forme critiche, le disarmonie e le anomalie che – giustamente – vengono espresse nella dialettica della civiltà. Questo, infatti, non può che essere un indiscusso segno di “decadenza” e “incivilimento”. Occorre tutelare lo spazio delle disarmonie, per affrontare la sfida della trasformazione di sé e del mondo.

In questa breve riflessione si vuole dare voce ad alcuni dei temi che non trovano spazio all’evoluzione della “conversazione condivisa”, partendo da una particolare lettura del “Discorso sulla servitù volontaria” di Étienne de La Boétie.